16 OTTOBRE 2016
La liturgia di oggi è un invito pressante a ricuperare il significato profondo della preghiera. La bontà del Padre che è nei cieli e che sempre ci ascolta incoraggia la nostra perseveranza nel rivolgerci a lui.
«… E DIO NON FARÀ FORSE GIUSTIZIA AI SUOI ELETTI?»
PERSEVERARE, in fondo, è abbandonarsi interamente all’amore di Dio Padre. Gesù ce ne ha dato l’esempio: al Padre ha affidato sé stesso e la sua Chiesa. Sul versante umano, oggi l’evangelista Luca illustra in particolare la perseveranza nella preghiera: pregare sempre, senza stancarsi. La figura di Mosè orante (I Lettura), che intercede per la salvezza di Israele in cammino verso la terra promessa, si staglia nitida all’orizzonte della storia. Israele capisce che nella vicinanza del Signore è la radice della sua forza. La preghiera, scrive san Paolo a Timoteo (II Lettura), è alimentata dalla Scrittura. La proclamazione della Parola nella liturgia domenicale è messaggio di Dio, presente e operante in mezzo a noi, ed è preghiera di ringraziamento che sale a lui dal nostro ascolto e dal nostro “mettere in pratica”.
Una vedova indifesa (Vangelo) chiede a un giudice corrotto di farle giustizia contro il suo avversario. La sua inarrestabile costanza, alla fine, viene premiata: il giudice iniquo soddisfa la sua richiesta. La costanza anche nell’aridità e la necessità di non interrompere il nostro dialogo d’amore con Dio qualifica la nostra preghiera.
Una vedova indifesa (Vangelo) chiede a un giudice corrotto di farle giustizia contro il suo avversario. La sua inarrestabile costanza, alla fine, viene premiata: il giudice iniquo soddisfa la sua richiesta. La costanza anche nell’aridità e la necessità di non interrompere il nostro dialogo d’amore con Dio qualifica la nostra preghiera.
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